Costruire la pace in tre piccole mosse

Ci avviciniamo al Natale. Eppure la guerra infuria nel cuore dell’Europa e nelle terre che sono il centro della spiritualità per miliardi di persone. E in altre decine di stati, più o meno dimenticati dalle cronache dei media.

Ci ha sempre colpito una frase del film John Rambo:

Sai chi sei, di che cosa sei fatto: hai la guerra nel sangue, non resisterle… Non hai ucciso per il tuo Paese, hai ucciso per te stesso. Dio…Non ti perdonerà mai. Quando sei costretto, uccidere è facile come respirare!

Ci ha colpito perché è vera. Certo, fisicamente la stragrande maggioranza di noi non ha mai ucciso nessuno. Ma nel nostro sangue scorre il veleno della guerra. Non ne siete convinti?

Guardate come reagite se una persona vi taglia la strada; se vi fanno un torto. Se qualcuno vi appiccica un’etichetta. Se vi toccano nei vostri interessi e affetti.

Ma tutto di noi vuole essere…lasciato in pace. E’ buffo che “lasciami in pace” sia una frase che diciamo scocciati e arrabbiati, quando piuttosto è la richiesta del dono più grande.

Una frase attribuita a Morihei Ueshiba recita così (nel redigere l’omonimo volume, John Stevens ha sostituito al termine Aikido con “L’Arte della Pace”):

L’Arte della Pace comincia da te. Lavora su te stesso e sul tuo compito assegnato nell’Arte della Pace. Ognuno di noi ha uno spirito che può essere purificato, un corpo che può essere allenato in qualche modo, un percorso adeguato da seguire.

Ecco quindi tre semplici mosse. Tre antidoti al veleno della guerra. Tre indicazioni per costruire un nuovo me.

Primo: troviamo qualcosa che ci consenta di lavorare su noi stessi. Pretendiamo sempre che siano altri a fare il cambiamento che vorremmo. E nel mentre ci dimentichiamo di vivere la nostra vita, pretendendo di entrare nella cabina di regia degli altri.

Secondo: se lavoriamo su noi stessi, presto o tardi emergeranno molti spazi di miglioramento. E’ singolare che Ueshiba parli per prima cosa di uno “spirito che può essere purificato”. Quindi, la seconda mossa è accettare la nostra dimensione interna e iniziare a coltivarla.

Terzo: siccome non siamo solo spirito, se vogliamo un cambiamento, dobbiamo lavorare anche sulla nostra dimensione materiale. Anche qui, le parole usate da O’Sensei fanno riflettere. Non parla di scolpire il nostro corpo. Non indica nella tartaruga sugli addominali l’obiettivo. Parla di un corpo che “può essere allenato in qualche modo”. Quindi: miglioramento e non irraggiungibile perfezione.

Il dramma della nostra epoca sta nella distanza tra desideri e realtà. Tutti vorremmo essere “lasciati in pace” ma poi che cosa facciamo effettivamente per arrivare in quella condizione?

L’Aikido -al pari di altre discipline- rappresenta un possibile “percorso adeguato da seguire”. Consente infatti di lavorare su se stessi in entrambe le dimensioni, fisica e interna. E siccome esige il confronto continuo nel lavoro a coppie e in gruppo, fa emergere talenti e lacune, doti caratteriali e asperità.

Un percorso che è pensato e strutturato per offrire a tutti i corpi -e alle persone che li abitano- “un qualche modo” di allenarli.

Perché se la pace piace a tutti, occorre trovare uno strumento che tutti possano utilizzare per costruirla con l’impegno quotidiano.

Disclaimer: foto di Foto di Artem Podrez da Pexels

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